Autunno in Barbagia 2023

Le leggende popolari tetiesi narrano di tesori (iscusorzos) nascosti per secoli tra le montagne al centro dell’Isola. Secondo i racconti degli anziani fu grazie al sogno di un giovane del paese che nell’Ottocento si scoprirono le affascinanti testimonianze dell’arcaica civiltà nuragica.

Risalgono al Neolitico medio (V millennio a.C.) le prime testimonianze della presenza umana nel territorio: in località Atzadalai, insieme ad asce in pietra e scarti di lavorazione dell’ossidiana, venne ritrovata la straordinaria statuetta chiamata “Venere dormiente”, una delle più antiche opere d’arte della Sardegna.

Nuraghi, villaggi e tombe dei giganti documentano l’epopea nuragica e l’elevato grado di abilità raggiunta. Tra l’VIII e il VII secolo a.C. venne fondato l’importante villaggio-santuario di Abini di cui si conserva una parte dell’abitato e il pozzo sacro racchiuso da un muro che circonda l’area dedicata ai rituali.

Dell’età romana restano alcuni tratti dell’importante strada che univa i centri di Sorabile (Fonni) e Austis. In quest’area le popolazioni locali, chiamate Barbaricine, opposero una decisa resistenza alla dura colonizzazione romana che fu condotta persino con l’uso di cani addestrati alla caccia all’uomo.

In epoca medievale il centro faceva parte del regno di Arborea nella curatoria di Austis. Con la caduta del giudicato, come i villaggi vicini, fu concesso in feudo a diversi funzionari scelti dalla corona spagnola ma riuscì a conservare una certa autonomia.

Nel 1720 l’Isola passò sotto il governo dei Savoia che permisero il mantenimento del sistema feudale fino alla prima metà dell’Ottocento. Con i primi scavi avvenuti nel 1865 Teti fu posto al centro dell’attenzione delle cronache che portarono alla realizzazione delle successive campagne archeologiche e alla creazione del museo archeologico comprensoriale.

Aspre cime granitiche intervallate da dolci colline ricoperte da boschi secolari e ricche di fresche sorgenti caratterizzano il paesaggio di Teti, tipico centro della montagna sarda.

L’abitato si sviluppa a 714 metri di altitudine sul versante nord di Punta sa Marghine da cui, nelle belle giornate, si possono godere vedute mozzafiato. Dall’alto dei suoi 954 metri sul livello del mare si possono infatti ammirare tutti i rilievi circostanti: partendo da sud-est lo sguardo si posa sul Gennargentu con le punte di Muggianeddu e Monte Spada, prosegue a nord-est sul complesso del Supramonte di Orgosolo e di Oliena, a nord sulla catena del Marghine, del Goceano fino al Monte Limbara, e verso ovest raggiunge il Monte Ferru e il mare del Golfo di Oristano.

Tra le località più suggestive vi è la vallata del fiume Taloro; lungo il suo corso, negli anni Sessanta del Novecento, furono realizzati degli sbarramenti per lo sfruttamento dell’energia idroelettrica che diedero origine al lago Cuchinadorza. Nel bacino artificiale abbonda la fauna lacustre e vi confluiscono le acque dei torrenti perenni alimentati dalle numerosissime sorgenti: se ne contano circa duecento. Alcune di queste sgorgano nelle vicinanze del paese e sono fonte di approvvigionamento per molti sardi tra cui gli stessi tetiesi.

Il suo ricco patrimonio ambientale è caratterizzato dalla presenza di fitti boschi di lecci e sughere, resi impenetrabili dalla macchia mediterranea, in cui vivono animali selvatici come cervi, daini, cinghiali, donnole, martore, volpi, lepri e diverse specie di uccelli tra cui l’Aquila reale. Nelle alture la vegetazione è composta prevalentemente da foreste di roverella mentre sulle colline non mancano gli alberi da frutto come noce, mandorlo, pero selvatico e ciliegio.

Questo ambiente naturale, caratterizzato dalla presenza delle latifoglie, rappresenta il luogo ideale per la crescita di funghi; in particolare delle tipologie più pregiate come porcino e ovolo, particolarmente ricercati dagli appassionati e molto apprezzati nella cucina locale.

Una curiosità: secondo diverse fonti il nome del paese deriverebbe dalla Smilax aspera, un arbusto rampicante chiamato in sardo “Teti”, “titione” nella variante locale, con bacche commestibili molto apprezzate da cervi e uccelli.

A partire dall’Ottocento il paese di Teti divenne famoso per la scoperta di uno dei più importanti luoghi di culto degli antichi sardi: il santuario di Abini. Oltre ad un esteso villaggio nuragico è stata individuata un’area, dedicata ai rituali, racchiusa da una cinta muraria entro cui si trova un pozzo sacro; qui furono ritrovati numerosi bronzetti votivi che raffigurano diversi personaggi tra cui i fantastici guerrieri rappresentati con 4 braccia e 4 occhi.

Il territorio abbonda di siti preistorici (su Carratzu, su Ballu, Alineddu, Turria, Atzadalai) tra cui il noto villaggio di S’Urbale: lo studio di alcune delle capanne (ne sono state individuate circa 50) ha permesso di recuperare molte informazioni sulla vita dei nuragici. Una di queste abitazioni dell’età del Bronzo è stata fedelmente ricostruita nel Museo archeologico comprensoriale di Teti che espone i reperti provenienti dal territorio comunale e da altri paesi della Barbagia-Mandrolisai.

Il museo si trova nel centro storico a poca distanza dalla parrocchiale di Santa Maria della Neve. L’edificio religioso risale al XVII secolo e presenta una facciata di stile rinascimentale suddivisa in tre sezioni che corrispondono alle navate interne; a lato vi è il bel campanile a pianta quadrata.

La chiesa più antica del paese è quella di San Sebastiano a circa 1 km dal paese: costruita in epoca medievale con pianta a croce greca, ha subito diversi rimaneggiamenti e oggi si presenta a croce latina con una facciata semplice decorata da un rosone e sormontata da un piccolo campanile a vela. Intorno si trovano le tipiche cumbessias, destinate ad ospitare i pellegrini durante i giorni della festa in onore al Santo.

Durante la manifestazione “Autunno in Barbagia” è possibile visitare interessanti mostre etnografiche allestite a Casa Satta e Casa Mereu, due antiche abitazioni tetiesi. Nella prima è stata realizzata una fedele ricostruzione degli ambienti tradizionali dei primi anni del Novecento, in cui sono esposti gli strumenti utilizzati nei lavori agricoli e pastorali, mentre nella seconda si possono ammirare i decori e gli arredi d’epoca caratteristici di una residenza signorile.