La felice posizione sui rilievi che circondano il massiccio del Gennargentu ha reso Aritzo un apprezzato centro di villeggiatura, già scelto nella preistoria come punto strategico dalle antiche civiltà sarde.
Le domus de janas di Is Forros sono testimoni di una storia che risale fin dal Neolitico per continuare poi con la grande epopea nuragica dell’età del Bronzo di cui rimangono le straordinarie tombe dei giganti in località Su Carragione.
Si stabilirono qui anche le popolazioni romane di cui rimane traccia nei ritrovamenti in località “Monte Longu” e “Antoni Sperizi”.
Le origini dell’attuale centro abitato affondano nel Medioevo quando il villaggio, appartenente al Giudicato di Arborea, era inserito nella Curatoria della Barbagia di Belvì. I fieri abitanti fornivano guerrieri all’esercito giudicale e per questo godevano di particolari libertà amministrative.
Dopo lo scoppio della grande guerra tra i re sardi e quelli iberici che si concluse solo nel XV secolo con la conquista aragonese e la caduta del giudicato, la villa di Ariccu (così compare nei documenti della pace firmata nel 1388 tra le parti) fu concessa in feudo ai Pardo. Tuttavia nel 1450 dovettero rinunciare alla concessione a causa dei forti conflitti con la popolazione che mal sopportava la perdita della sua storica autonomia. Un nuovo tentativo si ebbe nel 1481 con l’infeudazione ai Pages che provocò ripetute ribellioni costringendo la famiglia alla restituzione del feudo al patrimonio reale.
Le continue lotte per difendersi dai soprusi feudali ottennero nel 1507 il privilegio per gli aritzesi di essere amministrati da un funzionario eletto tra i capifamiglia dell’incontrada di Belvì.
Il centro non fu più infeudato fino all’arrivo del Savoia nel XVIII secolo che nel 1767 lo sottomisero alla signoria dei Lostia provocando nuove agitazioni. Solo nel 1838 Aritzo riuscì a liberarsi definitivamente dal giogo feudale.
Tra le attività produttive che segnarono la storia del paese vi è quella del commercio della neve raccolta dai niargios e conservata nelle domos de su nie (neviere). Molti di questi pozzi erano ancora utilizzati fino alla prima metà del Novecento per la produzione del tipico dolce di Aritzo: sa Carapigna, un delicato sorbetto al limone creato appunto con la neve custodita nelle montagne.
Nel XIX secolo il paese iniziò a trarre beneficio economico dal turismo montano per la salubrità dell’aria, la ricchezza delle sue terre, caratterizzate dai meravigliosi boschi di castagni e noccioli, e le sue numerosissime sorgenti di acqua purissima.
Disteso su una vallata ai piedi delle montagne del Gennargentu, il paese di Aritzo è attorniato da paesaggi di incantevole bellezza ricchi di fresche sorgenti.
L’area abbonda di boschi di noccioli e di castagni dal cui legno si producono i rinomati manufatti dell’artigianato locale che rappresenta ancora oggi un’importante attività economica.
Il turismo ambientale è un’altra risorsa del centro montano: molti visitatori percorrono i suggestivi sentieri che conducono alle bellezze del territorio come Su Texile e le antiche neviere.
Il tacco di Su Texile è una roccia di formazione calcarea che spunta da un rilievo come un cocuzzolo isolato e presenta pareti verticali molto ripide. Testimone dell’era mesozoica che si staglia solitario nel panorama, il tacco è divenuto un simbolo identificativo dell’intera zona.
Alle falde della punta di Funtana Cungiada (1458 m), la più alta del massiccio, si trovano le antiche domos de su nie, ossia le ‘case della neve’ in cui si conservava la neve che veniva venduta nei mesi estivi in casse foderate di paglia, un commercio molto importante per l’economia del paese fino ai primi del Novecento.
Numerosissime sono le sorgenti che sgorgano nei dintorni di Aritzo; tra le più conosciute vi sono la fonte di Is Alinos, che vanta proprietà diuretiche, e la Funtana de Sant’Antoni, da cui proviene un’acqua molto leggera e freschissima.
Abili e ingegnosi gli abitanti di Aritzo si resero famosi per la costruzione de sas domos de su nie ossia le ‘case della neve’. Risalgono al Seicento le prime notizie scritte sulla costruzione di questi profondi pozzi in cui veniva conservata la neve: raccolta nel massiccio del Gennargentu durante l’inverno dai niargios e pressata nelle neviere, veniva ricoperta da uno spesso strato di felci, poi da tronchi e terra affinché potesse essere venduta durante l’estate per refrigerare cibi e bevande in diversi centri della Sardegna.
Da questa importante industria nacque una delle più rilevanti attività commerciali del paese: la preparazione della celebre carapigna, una sorta di delizioso sorbetto al limone confezionato lavorando limone, zucchero e acqua nelle apposite sorbettiere refrigerate con la neve raccolta dalle domos de su nie. Ancora oggi questo prodotto della gastronomia locale è presente nelle sagre e nelle feste più importanti dell’Isola.
Il grazioso centro storico conserva le tipiche case in scisto e fango con i lunghi balconi in legno, opera di abili artigiani locali che hanno fatto dell’intaglio una vera e propria arte.
Tra le antiche abitazioni vi è l’edificio settecentesco delle vecchie carceri spagnole. Lo stabile è realizzato nello stile tradizionale ed è caratterizzato da un sottopassaggio a sesto acuto chiamato “sa bovida” (la volta) da cui deriva il nome delle prigioni. All’interno vi sono le antiche celle ora utilizzate come spazi espositivi per l'allestimento di “Bruxas”, una mostra dedicata alla magia e alla stregoneria, che comprende una sezione relativa all'Inquisizione in Sardegna tra XV e XVII secolo.
Altri importanti strutture del centro sono l’affascinante Casa Devilla, risalente al XVII secolo, appartenuta a una famiglia di possidenti della zona, e il Castello Arangino, costruito ai primi del Novecento con riferimenti all’epoca medievale, seguendo la tendenza architettonica dell’epoca per le abitazioni signorili.
Percorrendo le irte viuzze si arriva alla parrocchiale di San Michele Arcangelo, costruita nel Cinquecento su un vecchio impianto del XIV secolo e pesantemente restaurata nel 1914. Il campanile, che non ha subito trasformazioni, venne edificato con conci di trachite di Fordongianus in stile gotico-aragonese.
Di grande interesse il Museo della montagna sarda o del Gennargentu che ospita una raccolta etnografica di oltre tremila reperti. Le ricostruzioni degli ambienti tipici della civiltà contadina e pastorale forniscono una rilevante documentazione delle attività artigianali: oltre agli antichi strumenti per la preparazione della carapigna è custodita una rara collezione di antiche cassapanche in legno intagliato note nell’Isola come “cassa di Aritzo” o “barbaricina”.
Nei dintorni si trovano diverse testimonianze di epoca preistorica tra le quali merita una visita il complesso tombale in località Is Forros. Su una roccia scistosa sono state scavate due domus de janas, sepolture di epoca prenuragica: quella a destra comprende un solo ambiente mentre la seconda si sviluppa su due sale.