In un’area circondata dai nuraghi intorno all’anno 1000 furono erette due piccole chiese campestri denominate Santa Maria de susu e Santa Maria de josso, distanti in ugual misura dal punto in cui nacque l’antico paese di Atzara.
Il territorio fu frequentato fin dall’età preistorica come testimoniano i monumenti archeologici tra cui la domu de janas, scavata nel granito, sulle pendici della collina di Corongiu Senes, non lontano da dove fu costruito l’omonimo nuraghe. Dell’antica civiltà sarda restano tracce nei numerosi siti di età nuragica: nuraghe de sole, Ligios, Figu, Su Argedu ecc. tra tutti il meglio conservato è quello di Abbagadda accanto al quale si trova la tomba di giganti in cui venivano seppelliti gli abitanti del villaggio.
La villa di Atzara compare già nel condaghe (registro) di Santa Maria di Bonarcado del XII secolo dove si cita la chiesa di San Giorgio. Compreso nella curatoria del Mandrolisai, nell’epoca medievale il centro faceva parte del Giudicato di Arborea. La comunità si ingrandì con l’arrivo della popolazione della vicina Leonissa, (di origini romane) che fu abbandonata nel XV secolo, e di una parte della villa di Spasulee che scomparve tra la fine del Seicento e gli inizi del XVIII secolo.
Il regno di Arborea contese fino all’ultimo il possesso dell’Isola alla potenza militare catalano-aragonese ma la guerra terminò nel XV secolo con la sconfitta dei sardi e per decenni anche Atzara, come molti altri centri, cercò più volte di ribellarsi ai conquistatori.
Per sedare le sommosse il villaggio fu infeudato a famiglie nobili sarde vicine al casato giudicale che rispettarono le antiche libertà concesse dai re sardi. Con la scomparsa dell’ultimo erede del marchesato di Oristano, Leonardo Cubello, che aveva tentato di guidare una rivolta contro gli invasori, la Corona spagnola incluse Atzara nei possedimenti reali e nel 1507 concesse ai suoi abitanti e a tutto il Mandrolisai di essere governati da amministratori scelti tra i capifamiglia locali.
Per un lungo periodo tornò la pace e il paese crebbe: si svilupparono in questi anni le produzioni del vino e delle ciliegie per cui gli atzaresi si resero famosi in tutta l’Isola.
Nel XVIII secolo, con il passaggio del Regno di Sardegna prima agli Asburgo e dopo pochi anni ai Savoia, il villaggio conobbe il giogo feudale e la riscossione delle rendite fu accordata alla signoria dei Valentino.
La forte indole indipendente portò gli abitanti a creare delle organizzazioni in grado di opporre una qualche resistenza al feudatario: con la riforma del 1771 fu istituito prima il Consiglio comunitativo e poi il Monte granatico e di soccorso per le necessità della popolazione. Il paese si liberò definitivamente del feudalesimo nel 1838.
Tra morbide colline lo sguardo si perde sulle colorate distese di vigne che caratterizzano il paesaggio intorno al paese di Atzara.
Il centro era già famoso nell’Ottocento per la qualità e l’abbondanza della sua produzione vinicola con cui riforniva molte aree dell’Isola. Le varietà d’uva maggiormente coltivate sono il Bovale sardo (o Muristellu), Monica e diverse tipologie del Cannonau da cui si crea il rinomato vino Mandrolisai. Atzara è, infatti, compresa nell’elenco dei comuni previsti dal disciplinare per il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata “Mandrolisai” riservata ai vini rosso e rosato. Le qualità del vino sono originate dalla particolarità delle caratteristiche dei suoli collinari acidi, su graniti e porfidi, dal clima e dalla buona esposizione al sole.
Ai vigneti si alternano i campi coltivati e gli alberi da frutto circondati da una fitta boscaglia di roverelle e quercie che ricopre la montagna Sa costa. Percorrendo gli affascinanti sentieri disseminati tra le campagne si incontrano maestosi esemplari di castagni, noccioli e noci che forniscono gli ingredienti base per la realizzazione dei dolci tipici.
Tutt’intorno peonie, ginestre, timo e digitale donano i colori e i profumi inconfondibili della macchia mediterranea. Il paesaggio è impreziosito dai ruscelli e dalle numerose fonti tra cui si segnala quella di Laonisa, da cui si scorge un bel panorama; in questa località sorgeva l’antico villaggio di Leonissa scomparso nel XV secolo di cui rimane traccia nell’antica chiesa di Santa Maria Bambina.
A sud il rio Araxisi, che forma un confine naturale con Meana Sardo, si arricchisce dai corsi d’acqua locali per poi proseguire il suo percorso fino al Tirso. Lungo le sue sponde si possono incontrare le anatre selvatiche e gli aironi cenerini.
Numerose specie animali popolano il territorio: la fauna locale comprende cinghiali, volpi, donnole, conigli, lepri, euprotto sardo e qualche esemplare di daino selvatico e muflone mentre i cieli ospitano l’astore, la poiana, lo sparviero, il falco pellegrino e l’aquila reale.
Paese della luce e dei colori che ispirarono i pittori costumbristi spagnoli nel primo Novecento, Atzara conquista il visitatore con le sue preziose meraviglie.
Dalla via principale si diramano le contorte stradine dei quartieri più antichi del centro storico. In un labirinto di vicoli si scoprono piccoli gioielli del passato: case d’epoca medievale, costruite in granito e trachite, con porte e finestre arricchite da cornici di tradizione sardo-ispanica, alcune delle quali conservano i rilievi in stile tardo gotico, opera dei bravi artigiani locali che scolpivano la pietra chiamati picapedres.
Agli stretti spazi delle vie si contrappongono le aperture delle piazze in cui si trovano le chiese. La più antica è quella di San Giorgio di cui si ha notizia già agli inizi del XIII secolo; si presenta come un piccolo edificio ad una sola navata con una facciata in pietra liscia sormontata da un campanile a vela. La chiesa più bella del paese è la parrocchiale di Sant’Agostino costruita tra il XVI e il XVII secolo in forme tardogotiche; presenta una facciata in tipico stile isolano, impreziosita da un grande rosone sopra il portale e terminante con una cornice si cui poggiano i merli e la croce in trachite.
Tutt’intorno alla chiesa si trovano le vecchie case caratterizzate da alte mura interrotte da portoni che si aprono su cortili o loggiati. Tra queste spicca il palazzo dei conti di San Martino in cui nel XVII secolo soggiornarono i feudatari, per questo definito “de su conte”; all’interno della corte conserva un pozzo con cupola originale ricoperta di maioliche.
Nella piazza dedicata al grande pittore spagnolo Antonio Ortiz Echagüe si affaccia il Museo d'Arte Moderna e Contemporanea a lui intitolato. L’artista fu uno dei numerosi maestri d’arte, internazionale e sarda, che si stabilirono nel centro attratti dagli splendidi abiti tradizionali e dalle manifestazioni popolari. La collezione museale custodisce un’ampia varietà di opere che documentano le diverse tendenze artistiche del XX secolo.
A pochi chilometri a est e a ovest dell’abitato si trovano le chiese campestri di Santa Maria de susu e Santa Maria de josso. La prima, chiamata anche chiesa di Santa Maria Bambina, è tra le più antiche chiese del circondario. Fu eretta intorno all’anno 1000 probabilmente nello stesso periodo in cui fu realizzata quella di Santa Maria de josso che purtroppo crollò nel primo ‘900 e fu completamente ricostruita negli anni ’70.
Numerose testimonianze archeologiche attestano la presenza dei popoli che abitarono queste terre. A sud-est dell’abitato, ai piedi della collina di Corongiu Senes, sono visitabili le domus de janas, risalenti all’età dei primi metalli, e i resti del vicino nuraghe.
Tra i siti più interessanti si segnala il nuraghe di Abbagadda che conserva ben 6 metri d’altezza della torre principale e i resti del villaggio circostante. I suoi antichi abitanti furono sepolti nella vicina tomba dei giganti di cui è ancora visibile la camera funeraria.