Autunno in Barbagia 2023

Luogo ospitale e pieno di storia in cui la grande civiltà nuragica innalzò i meravigliosi monumenti del villaggio-santuario di Romanzesuuno dei maggiori centri archeologici dell’intera Isola, e dove si stabilirono gli antichi Balari che sfidarono il potente Impero Romano.

In tutto il circondario si incontrano numerose testimonianze preistoriche: domus de janas e menhir (chiamati in sardo perdas fittas ossia ‘pietre infisse’) raccontano una storia che risale al Neolitico mentre a partire dall’età del Bronzo si sviluppa la civiltà nuragica di cui si conservano le tipiche torri, le scenografiche sepolture, dette “tombe dei giganti”, oltre ai misteriosi ed affascinanti edifici sacri.

Le origini del nucleo urbano risalgono probabilmente a una mansio romana (stazione di sosta) sulla strada che collegava Cagliari a Olbia. Molti reperti dell’età repubblicana e imperiale sono stati ritrovati nelle vicinanze della chiesa di Bonucaminu, a ovest dell’abitato attuale, e nel sito di Sa Patzata, da cui proviene l’iscrizione funeraria di un soldato romano di nome Decumo.

In quest’area viveva l’antica popolazione dei Balari, elencata tra le Civitates Barbariae, che, come ci raccontano le fonti dell’epoca, si oppose strenuamente all’invasione romana.

Durante il Medioevo il paese appartenne, inizialmente, al Giudicato di Gallura e fu capoluogo della curatoria, da cui deriva il nome della regione storica: la Barbagia di Bitti. Risale al 1173 un documento in cui compare il nome della villa: l’allora giudice Barisone donava la chiesa di Santa Felicita di Bithe al monastero pisano di San Felice di Vada.

A seguito del matrimonio tra la giudicessa gallurese Elena de Lacon e Lamberto Visconti, la Gallura entrò sotto il controllo di Pisa. La crescente ingerenza della repubblica marinara portò alla guerra con la Corona d’Aragona che vantava diritti sul Regno di Sardegna, istituito alla fine del XIII secolo da Papa Bonifacio VIII.

Il conflitto portò allo smembramento del regno di Gallura e il villaggio, come quasi tutti i paesi sardi, venne annesso nel XIV secolo al  Giudicato d’Arborea sotto la guida di Mariano IV che intendeva unificare tutta l’Isola. Ne derivò il grande scontro con i catalano-aragonesi che, con notevole dispendio di uomini e mezzi, ottennero la vittoria. Il XV secolo, quindi, rappresentò anche per il centro barbaricino l’inizio dell’assoggettamento a potenze straniere: Bitti fu infeudata a vari casati prima aragonesi e catalani poi spagnoli e, a partire dal XVIII secolo, piemontesi. Si dovrà attendere fino al 1838 perché venga concesso alla cittadinanza di riscattare il feudo ponendo termine allo sfruttamento delle diverse signorie.

Molti dei piccoli villaggi del circondario scomparvero a seguito delle guerre e a causa della peste che nel XIV secolo decimò l’Europa: fu questa la sorte di Jumpatu Dure . Di quest’ultimo, a est dell’abitato attuale, rimane traccia nelle chiese di Babbu Mannu (SS. Trinità), Sant'Istevene (santo Stefano), Santa Luchia (santa Lucia), Santa Maria, Santu Jorgeddu (san Giorgio di Suelli).

Riuscì a sopravvivere Gorofai, attuale quartiere a nord del paese, che nella seconda metà dell’Ottocento perse la sua indipendenza divenendo frazione di Bitti. Il rione conserva ancora la sua autonomia ecclesiastica con la parrocchiale dedicata al Santissimo Salvatore che, alla fine del Settecento, sostituì quella più antica di San Michele.

Una miriade di sentieri si snodano lungo il territorio di Bitti alla scoperta di oasi naturali, ricoperte da rigogliose foreste, scenari incantevoli tra picchi granitici e meravigliosi scorci acquatici formati da cascate e laghetti.

A ovest dell’abitato, circondato da verdi colline, si sviluppa un esteso pianoro con campi coltivati tra cui spuntano alcuni santuari campestri. A meno di 10 km dal centro si trovano le graziose cascate Sas Lapias de Monte Ruju dove l'acqua cade da un costone granitico.

Più a nord si incontra l’affascinante complesso forestale di Crastazza-Tepilora inserito nel Parco Naturale Regionale dell'Oasi di Tepilora che comprende anche la foresta storica di Sos Littos-Sas Tumbas.

Nell’areadi Crastazza si possono intraprendere straordinari percorsi su antiche mulattiere e sulle vie percorse dai carbonai. Gli interventi di rimboschimento hanno restituito l’originale paesaggio in cui predomina il leccio, il ginepro (nelle aree più elevate), e la sughera (più a valle) incorniciati dalla vegetazione spontanea costituita da corbezzolo, fillirea ed erica.

Una strada asfaltata che passa vicino al carcere di Mamone conduce a Su Pranu de Cheddai, un fertile altipiano che si affaccia su incantevoli panorami e da cui è possibile ammirare le scenografiche cascate di S’Illiorai formate dal rio Nurasè. Seguendo i sentieri naturalistici si giunge in prossimità di questo straordinario spettacolo naturale: da un’altezza di circa 40 metri il torrente si tuffa nei sottostanti laghetti avvolti in una nuvola di piccolissime gocce d’acqua che irrigano la lussureggiante vegetazione.

Dolci colline e ripide alture sono attraversate dalle antiche vie della transumanza che conducono ai numerosi santuari campestri e agli incredibili siti nuragici.

Incastonata tra graziose valli percorse da corsi d’acqua che defluiscono nel Rio Posada, si innalza la caratteristica sagoma triangolare del colle granitico di Tepilora (528 m s.l.m.) che a ovest confina con la storica foresta Sos Littos-Sas Tumbas. Qui sono custoditi magnifici boschi secolari di lecci acquisiti dal demanio fin dal 1914. Alla principale formazione arborea costituita da lecci si associano filirea, ginepro, corbezzolo, erica arborea e le altre specie tipiche della macchia mediterranea come il lentisco, l’olivastro e il mirto. Lungo i corsi d’acqua predominano l’ontano nero, l’oleandro e il Salice di Gallura.

In questo splendido contesto ambientale vivono il cinghiale, la lepre sarda, la volpe, il gatto selvatico. Importanti iniziative dell’Ente Foreste Sardegna hanno condotto al ripopolamento della pernice sarda e alla ricomparsa di daino e muflone.

Misteriosi templi preistorici e arcaiche forme canore sono tra le tante attrazioni culturali che offre il paese di Bitti.

Nel territorio comunale si trova l’eccezionale complesso di Romanzesu: uno dei siti archeologici più suggestivi e misteriosi della Sardegna. A partire dal XIV secolo a.C. si assiste al primo insediamento nella zona che pian piano si amplia fino a ricoprire un’area di diversi ettari in cui si sviluppa il villaggio-santuario. Il visitatore rimarrà stupito dalla grande varietà e spettacolarità degli edifici sacri. Tra tutti spicca il pozzo sacro collegato a un sistema di vasche gradonate da cui probabilmente i partecipanti accedevano all’acqua per praticare le abluzioni rituali.

Il centro barbaricino è famoso in tutta l’Isola per la maestria dei cori che tramandano l’arte dell’antico canto “a tenore” proclamato dall’UNESCO “Patrimonio intangibile dell’Umanità”. Il comune ha dedicato a questa celebre tradizione musicale un museo multimediale in cui sarà possibile ascoltare le composizioni più conosciute e acclamate provenienti da varie aree dell’Isola. In una delle sale si trova un ingegnoso sistema di totem che riproduce le 4 voci de  su tenorebassucontrabochemesu boche.

L’esposizione è ospitata nelle stanze di una tipica abitazione in pietra con pavimento e soffitto in legno. In un’altra ala della stessa struttura è stato allestito il Museo della Civiltà Contadina e Pastorale, un’importante raccolta etnografica che offre uno spaccato su usi, costumi e tradizioni del paese.

Poco distante, percorrendo gli intricati vicoli e le strette strade dei quartieri storici, si incontra la chiesa parrocchiale intitolata a Santu Jorgi (san Giorgio Martire), di origine medievale (ante XV secolo), che si affaccia sulla piazza principale.

Non lontano sorgono le settecentesche chiese di Sa Pietate (Madonna della Pietà) e San Michele, mentre quelle di Sas Grassias (Madonna delle Grazie), e di Santa Ruche furono edificate nel Seicento in stile barocco popolaresco.

Più a nord si trova il rione storico di Gorofai, un antico villaggio che ha conservato la sua autonomia fino a metà Ottocento. Qui si incontrano altri piccoli gioielli di architettura sacra come la chiesa di Su Sarvatore (Santissimo Salvatore) che ha conservato il titolo di parrocchiale conseguito a fine Settecento. A testimonianza della grande religiosità dei suoi abitanti si contano 9 edifici di culto nell’abitato attuale a cui si aggiungono altri 12 nelle campagne.

Molte chiese scomparse, e alcune ancora esistenti, recano traccia della religiosità bizantina: ne sono un classico esempio i culti orientali di Sant’Elia, Sant’Anna, San Cosma e Santa Sofia giunti in Sardegna tra il IV e il IX secolo.

Nel paese sono attive le botteghe artigiane di ceramica, ferro battuto, cuoio, legno, intarsio e tessitura che ripropongono caratteristiche lavorazioni artigiane e moderne interpretazioni.