Dalle dee madri mediterranee alla leggenda di Maria Incantada, fata del nuraghe, la storia di Meana Sardo ci conduce in un racconto pieno di suggestioni.
Risalgono al Neolitico medio le tre bellissime statuine, ritrovate in località Polu, che raffigurano la dea madre mediterranea dalle forme obese simbolo di prosperità.
Dell’epoca nuragica il territorio conserva numerose testimonianze: sono presenti sia nuraghi monotorre del Bronzo medio (1660-1330 a.C.), sia nuraghi a più torri del Bronzo recente (1300-1100 a.C.). A quest’ultima fase risalgono i nuraghi Nolza, Su Nuraxi e Maria Incantada a cui si lega la leggenda della jana (fata) innamorata. Secondo il racconto popolare Maria Incantada (o Cantada) abitava nel nuraghe e, mentre tesseva sul telaio d’oro con fili d’oro, con voce melodiosa cantava per il suo innamorato che si trovava in su cùccuru de Nolza, nell’omonimo nuraghe, tenuto prigioniero da un gigante che custodiva un grande tesoro.
I primi centri abitati in epoca storica risalgono all’età romana: testimoni del tempo sono i resti del villaggio di Polcilis e l’importante strada Per Mediterranea, che collegava Olbia con Cagliari attraversando l’isola. I pochi resti delle chiese di Sant’Elena e Sant’Elia attestano la frequentazione del territorio anche nel periodo bizantino.
Nel condaghe di Santa Maria di Bonarcado, del XII secolo, appare per la prima volta il nome del villaggio che fece parte del Giudicato d’Arborea e fu capoluogo della curatoria della Barbaria di Meana.
Dopo la caduta del Giudicato la signoria della Barbagia di Belvì, che includeva il paese di Meana, fu compresa nel demanio regio. I diversi tentativi di affidare il villaggio a vari feudatari si conclusero con la restituzione al fisco reale. Gli abitanti, infatti, si ribellarono ripetutamente all’imposizione dei pesanti tributi feudali. Infine, nel 1507, i meanesi ottennero il privilegio di essere amministrati da un loro compaesano.
Col passaggio del regno di Sardegna a casa Savoia il paese, che era riuscito a liberarsi dei feudatari spagnoli, conobbe il giogo feudale sotto la contea di Salvatore Lostia che aveva ottenuto l’infeudazione dei redditi civili della Barbagia di Belvì. Meana riuscì a liberarsi dai feudatari nel 1839.
Nel 1862 il nome del paese fu modificato in Meana Sardo per differenziare il comune da un piccolo centro omonimo del Piemonte.
In un’area ricca di boschi, colline e sorgenti si snodano i sentieri che conducono alla scoperta delle bellezze panoramiche e naturalistiche del territorio di Meana Sardo. I vigneti che ricoprono le colline circondano il paese donando colori e profumi inebrianti.
Dalla punta del monte Bruncu Sant’Elia, a 1083 m, si può godere di un’ampia veduta dei monti del Gennargentu e delle profonde valli scavate dai corsi d’acqua. Il principale è il rio Araxisi che segna il confine con Atzara. Passeggiando lungo il corso dei suoi numerosi affluenti ci si può imbattere in una delle fonti d’acqua freschissima di cui si serve la popolazione.
Affascinanti paesaggi montuosi, testimoni di diverse ere geologiche, hanno dato origine alle leggende locali: secondo i racconti popolari i grandi massi calcarei in località Ortuabis (ortu de abis ‘orto delle api’) sarebbero degli alveari pietrificati a causa di una terribile maledizione lanciata sul proprietario come conseguenza della sua avarizia.
Roverelle, sughere e lecci popolano i boschi comunali di Su Cumunali e Su Melone circondati dalle essenze tipiche della macchia mediterranea: olivastro, corbezzolo, ginestra, lentischio, mirto, cisto ed erica.
Nei monti, dove vivono numerosi il Geotritone e l’Euprotto Sardo, si possono ancora vedere gli antichi ricoveri in pietra dei pastori, is pinnazzus, testimoni della tradizione e indicatori del grande ruolo dell’allevamento nell’economia del centro.
Di notevole suggestione le vie del centro storico di Meana Sardo rivelano scorci di antiche strade. Le tipiche abitazioni sono costruite in pietra scistosa e abbellite da portali ad arco in stile campidanese o dalle bellissime cornici del XVII-XVIII secolo in trachite e arenaria, di stile gotico-catalano, opera di artigiani locali chiamati picapedreris.
Lungo la strada principale si incontra la chiesa parrocchiale di San Bartolomeo. Risalgono al XIV le prime testimonianze della sua esistenza di cui però non è rimasta traccia. L’impianto attuale risale, infatti, al XVI secolo. Sullo sfondo semplice e severo della facciata spicca il notevole portale sormontato da una particolare finestra quadrata in cui si ripetono gli stessi elementi in stile gotico. Il campanile a destra della facciata, concluso nel 1673, conserva bellissimi fregi ricavati sulla balaustra in trachite.
Passeggiando sulle alture intorno al paese ci si può imbattere negli antichi ricoveri dei pastori, is pinnazzus, formati da una base circolare in pietra e un tetto di frasche sorretto da un telaio in legno di forma conica.
Su una collina, a pochi chilometri dal paese, si può visitare la chiesa campestre di San Lussorio ricostruita nel 1858 dopo essere stata profanata ed abbandonata nel 1673. Nei dintorni si trovano le numerose testimonianze della civiltà megalitica: si conoscono più di 10 nuraghi sparsi nel territorio meanese. Vicino alla chiesetta di San Lussorio si possono visitare le domus de janas (della prima età del Bronzo) e il nuraghe a più torri Maria Incantada in cui, secondo un’antica leggenda, abitava una jana (fata) innamorata, Maria Incantada (o Cantada) che tesseva su un telaio d’oro con fili d’oro e, con voce melodiosa, cantava per il suo innamorato, tenuto prigioniero da un gigante che custodiva un grande tesoro in su cùccuru de Nolza. Proprio qui, sul rilievo più alto dell’altipiano di Su Pranu, si trova il nuraghe Nolza, uno dei più noti, formato da una torre centrale e quattro torri angolari unite da bastioni. Questo magnifico edificio dell’età del Bronzo conserva, nel corpo centrale, un’altezza di 13 metri. Tutt’intorno si trovano i resti del villaggio nuragico che si estende per circa 2,5 ettari.
All’antica cultura di Abealzu (2480-2000 a.C.) risale uno dei rinvenimenti archeologici più interessanti: una statua menhir armata che raffigura un guerriero con una mazza di guerra.