Autunno in Barbagia 2023

Il paese di Olzai si affaccia su una valle circondata da monti e alte colline che lo proteggono dai venti e che in antichità rappresentavano punti di osservazione privilegiata ma anche rifugio sicuro per le antiche popolazioni.

Le fonti letterarie infatti testimoniano la presenza di sepolture preistoriche nei rilievi in località Lugulu (o Lochìlo), Sedile e S’Ena de sa vacca. In quest’ultima è ancora possibile visitare l’importante tomba dei giganti datata tra il Bronzo Medio e Recente, considerato per lungo tempo un dolmen a causa del grande lastrone di copertura (circa 4 metri). La presenza dell’antica civiltà sarda nel territorio è testimoniata dai resti di ben 17 nuraghi censiti all’inizio del Novecento.

Ceramiche, mattoni e tegole d'epoca romana sono stati rinvenuti in località S’Angelu in cui secondo i racconti popolari sorgeva un villaggio. Risale forse al periodo bizantino l’ormai scomparso castello di Gulana, edificato sul monte omonimo, di cui oggi rimane testimonianza nelle fonti e nelle leggende locali che narrano di un tesoro nascosto tra le gallerie sotterranee.

Sono d’epoca medioevale i primi documenti scritti che danno notizia della villa de Oltai, appartenente al Giudicato d’Arborea e alla curatoria della Barbagia di Ollolai. Il suo maiore (una sorta di sindaco) risulta tra i firmatari, insieme a 4 giurati e 5 abitanti del centro, della pace del 24 gennaio 1388 tra la Giudicessa Eleonora e il Re d'Aragona Giovanni I. Olzai fu dunque partecipe dei principali momenti dell’epopea medievale sarda intervenendo nella lotta contro gli invasori catalano-aragonesi. Anche dopo la caduta del giudicato, i suoi abitanti si mostrarono ostili ai regnanti iberici che, nel tentativo di sedare gli animi, assegnarono il feudo al marchesato di Oristano, considerato erede della casata d’Arborea.

Una nuova ondata di ribellioni, guidata dall’ultimo marchese Leonardo Alagon che si batté per liberare l’Isola dai conquistatori stranieri, fu ferocemente repressa. Il villaggio passò quindi sotto il duro governo dei feudatari scelti dal sovrano aragonese prima e, a partire dal 1720, confermati dalla casata dei Savoia che ottenne dignità regia con l’acquisizione del Regno di Sardegna. Il paese si liberò dall’oppressione feudale nel 1839.

Tra Ottocento e Novecento il centro si distinse per il grado di istruzione della popolazione: oltre a una bassissima percentuale di analfabeti per l’epoca, vantava un alto numero di laureati. La grande importanza attribuita all’istruzione portò alla costruzione del primo istituto per l’infanzia: nel 1904 il canonico Salvatore Fancello fondò l’Asilo di San Vincenzo. La scuola, gestita dalle Figlie della carità, era destinata agli alunni dai 3 ai 6 anni e oltre alla funzione educativa si proponeva di accogliere e offrire un pasto ai bimbi poveri che frequentavano gratuitamente.

Incorniciato dai monti e affacciato su un’incantevole valle, il paese di Olzai è il luogo ideale per intraprendere un’escursione. Attraverso sentieri, carrarecce e vecchie mulattiere si possono raggiungere le cime dei rilievi circostanti da cui godere di suggestivi panorami che spaziano dai monti del Gennargentu alla valle del fiume Tirso.

I monti granitici sembrano abbracciare l’abitato offrendo rifugio dai freddi venti invernali e lasciando un’apertura verso la valle protetta dalle alte colline. Il centro è attraversato dall’arginamento su cui scorre il rio Bisine che discende dalle alture a est per confluire sul fiume Taloro. Le piene invernali fornivano la forza motrice per i mulini che, ancora nel Novecento, erano utilizzati per la macinazione del grano. Appena fuori dal paese si può visitare l’ultimo mulino ad acqua ancora funzionante chiamato Su mulinu bezzu: Costruito nell’Ottocento in conci di granito, rappresenta un bell’esempio di architettura pre-industriale e documenta l’importante attività della lavorazione del grano nella storia di Olzai.

Il mulino è immerso nella natura, circondato da splendidi alberi secolari: lecci, querce, sughere e macchia mediterranea tra cui si rivelano piccole sorgenti.

Verso sud si può intraprendere la scalata al Monte Gulana ricoperto da boschi di lecci. Sulla sommità, che appartiene al parco comunale, si trovano enormi blocchi di pietra su cui sorgeva su casteddu, una fortezza, forse di origine bizantina, di cui si ha notizia dal resoconto di Vittorio Angius nella prima metà dell’Ottocento. Il castello è stato protagonista di molte leggende popolari che raccontavano di fantastici tesori nascosti nei cunicoli sotterranei.

Sul monte si potranno ammirare formazioni di notevole interesse naturalistico (Su nodu de su malune) e lo splendido paesaggio della valle del Taloro. A sud-ovest si trova il lago di Benzone, uno dei tre bacini artificiali costruiti negli anni Sessanta sul fiume Taloro per la produzione di energia elettrica. I corsi d’acqua dolce sono l’habitat di anguille, trote carpe e tinche, mentre tra i boschi vivono diverse specie di animali selvatici tra cui: cinghiali, volpi, lepri, conigli, furetti, donnole, martore, topi quercini ma anche poiane, gheppi aquile, picchi, pernici, colombacci e tortore.

Il “paese dei laureati”, così venne definito Olzai ai primi del Novecento per la vocazione culturale dei suoi abitanti. Furono proprio i suoi cittadini illustri (tra cui il medico Pietro Meloni Satta, 1840-1922), a contribuire alla conoscenza del centro e dei suoi numerosi patrimoni culturali.

Tra Bronzo Medio e Recente fu eretta l’imponente tomba dei giganti di S’ena de sa vacca chiusa da un enorme lastrone in pietra che per lungo tempo ha identificato il monumento come dolmen. La struttura muraria della camera realizzata a filari e i resti dell’esedra sono tipici delle tombe dei giganti più recenti per cui gli studiosi ritengono che la copertura sia stata aggiunta in un secondo momento forse prelevata da un dolmen vicino.

Non lontano si trova il nuraghe Su Puddu e più a sud quelli di Erchiles, Oritti, sos Pranos e Portoni, mentre avvicinandosi al centro abitato si incontrano i nuraghi di Comiddo, Lenuie e Ludurioe; sono solo alcuni dei 17 citati nelle fonti di inizio Novecento.

Leggende locali narrano di antichi tesori nascosti sul monte Gulana dove fu eretto, forse in epoca bizantina, l’antico castello di cui oggi rimane testimonianza solo sui libri.

Il paese è attraversato da est a ovest dal rio Bisine. Nel 1921 il corso d’acqua venne incanalato in una monumentale opera architettonica chiamata l’Arginamento. L’affascinante centro storico ha mantenuto l’impianto tipico dei centri barbaricini con case su più piani costruite con blocchi di granito. Tra queste spicca il bel palazzo settecentesco Casa-Museo dell’artista Carmelo Floris. Nei locali sono esposte diverse opere del famoso pittore e incisore. Al primo piano si trovano le stanze in cui viveva la famiglia arredate con mobilio d’epoca e al secondo è ancora possibile visitare lo studio del maestro.

I suggestivi vicoli lastricati nascondono piccoli e grandi gioielli d’architettura. La chiesa intitolata a San Giovanni Battista fu costruita nel XV secolo come oratorio dedicato al Salvatore, poi ampliata nel XVII secolo e nel 1738, quando fu costruito il campanile, divenne parrocchiale.La graziosa facciata termina con cornici in trachite rosa con cui è realizzato anche il rosone centrale e le decorazioni che circondano il portale.

L’edificio più antico è l’incantevole chiesa di Santa Barbara eretta nel XIV secolo e sede della seicentesca confraternita de Santa Rughe. Al suo interno è custodito il celebre “Retablo della Pestilenza”, opera del pittore denominato Maestro d’Olzai che lo dipinse nel XV secolo probabilmente come ex-voto a seguito dell’epidemia di peste del 1477.

La chiesa di Sant’Anastasio (sa cresia de Sanct’Istasi) fu edificata nel XVI secolo in stile gotico-catalano. Unico elemento di decoro nella semplice facciata a capanna è un arco in trachite rossa che incornicia il portale sovrastato da una piccola finestra. All’interno si trova il “Retablo della Sacra Famiglia” del XVI secolo.

Nelle vicinanze del paese, immerso nella natura, merita una visita l’ultimo mulino ad acqua realizzato nell’Ottocento. Su Mulinu bezzu, ristrutturato e funzionante, è messo a disposizione dal comune per la macinazione del grano.